Come effetto della Direttiva Europea SUP (Single Use Plastic) da sabato 3 luglio sono messi al bando in Italia e in tutto il territorio europeo gli oggetti in plastica monouso più inquinanti: piatti, posate, cannucce, cotton fioc, palette da cocktail, bastoncini dei palloncini, contenitori per alimenti, bevande in polistirolo, filtri di sigarette.
Questa svolta epocale, che segna una decisiva virata verso un futuro sostenibile e una politica eco-friendly, è frutto dei cambiamenti approvati dall’Unione Europea nel 2019 e recepiti dall’Italia con legge nazionale 53/2021 dell’aprile 2021.
Una rivoluzione in linea con le politiche comunitarie del cosiddetto Green New Deal, che hanno l’obiettivo di rendere il “vecchio continente” protagonista della transizione ecologica e all’avanguardia nelle politiche ambientali a livello mondiale.
Per l’Unione l’obiettivo è ridurre la plastica monouso – che spesso finisce nell’ambiente intorno a noi – e che è molto difficile da smaltire, proprio per la natura molto resistente del materiale. Si stima, per esempio, che in ambiente marino l’80% dei rifiuti complessivi è composto di materiale plastico, che quotidianamente minaccia corsi d’acqua, laghi, mari e fauna marina.
Dalla Direttiva SUP restano fuori molti prodotti usa e getta: bottiglie, flaconi, scatolette e buste per i cibi. Per i bicchieri di plastica invece è solo prevista la riduzione del consumo. Non si parla quindi di una politica plastic free ma è indubbio che la direzione tracciata è netta e che sul lungo termine si vuole ridurre drasticamente a livello comunitario il consumo di plastica.
Per essere più precisi la direttiva vuole diminuire la mole di rifiuti plastici, specialmente nelle acque, di almeno il 50% entro il 2025 e dell’80% entro il 2030. Inoltre si vuole raggiungere la soglia del 25% di plastica riciclata dal 2025, e costringere le aziende a produrre con il 30% di materiale riciclato entro il 2030. L’UE di fatto vuole quindi agire su un doppio livello: da un lato sul piano del consumo, dall’altro sul lato della produzione industriale.
Non è un mistero che l’Europa generi ogni anno 25.8 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica, ma meno del 30% di questo materiale viene raccolto per poter essere poi riciclato. Per le autorità europee questo è un trend che va invertito al più presto.
I danni ambientali sono stimati in 22 miliardi di euro da qui al 2030 e la nuova normativa dell’Unione Europea porterà non solo a un miglioramento della situazione ambientale ma anche a un risparmio per i consumatori di circa 6 miliardi di euro ogni anno.
Durante i negoziati fra Italia e Unione Europea ci sono però state frizioni: la direttiva europea non distingue infatti fra oggetti in plastica “tradizionale” (prodotta dal petrolio e non biodegradabile) e oggetti in plastiche “bio” (prodotta da materie prime naturali come mais, biodegradabili e compostabili). L’Italia, leader nel settore, ha fatto pressioni affinché le plastiche “bio” fossero escluse dal bando e per il momento tali materiali sono rimasti esclusi dal divieto, almeno nel nostro paese. Discorso simile per un altro settore strategico per l’Italia che è quello della carta plastificata, molto usata nella ristorazione e nella conservazione dei cibi.
Alcune associazioni ambientaliste come Greenpeace accusano il governo italiano di favorire una finta transizione ecologica e di difendere un settore strategico per l’economia del paese in contrasto con la direttiva dell’Unione Europea.
Nel mondo ci sono diversi paesi che hanno promosso politiche plastic free radicali. Su tutti il Costa Rica: il paese centroamericano ha stabilito che entro la fine del 2021 eliminerà i materiali plastici dal suo territorio. Anche il Kenya ha una politica molto restrittiva sulla plastica, che prevede multe e persino il carcere per i trasgressori.
In Europa invece Estonia, Francia e Grecia sono i paesi più avanti nel recepire la Direttiva SUP (Single Use Plastic), mentre Bulgaria, Polonia e Romania sono quelle più indietro. A questo punto appare evidente: indietro non si torna.