La riconversione turistica dei siti minerari: ridurre l’impatto ambientale e offrire un’opportunità di riconversione per i territori
In Italia ci sono oltre 3.000 siti minerari dismessi, di cui poco meno di 800 sono di estrazione di minerali metalliferi. Questi, in particolare, hanno causato un impatto ambientale rilevante e necessitano di profondi interventi di bonifica.
Questi siti, spesso contaminati, sono oggi messi in sicurezza e aperti al pubblico per essere riconvertiti in luoghi turistici per restituire alle comunità di appartenenza nuove opportunità di sviluppo.
La nostra penisola ha un patrimonio geominerario consistente dove si è sviluppata una vera e propria cultura dell’estrazione dei minerali che può diventare nei fatti una risorsa turistica.
I siti minerari infatti sono la perfetta sintesi del patrimonio industriale, archeologico, culturale e paesaggistico di aggregazioni sociali e comunità che hanno vissuto in rapporto viscerale con la miniera.
Per un lungo periodo questi luoghi sono stati lasciati all’abbandono ma a partire dagli anni Novanta, soprattutto grazie alla spinta di enti locali e società civile, sono cominciate le operazioni di recupero e messa in sicurezza orientate alla riconversione in poli museali e culturali.
Oggi questi musei perfettamente inseriti nel paesaggio circostante offrono al visitatore un’esperienza multiforme che tocca diversi ambiti: la geologia, l’ambiente, la tecnologia mineraria, l’habitat operaio e le infrastrutture di trasporto.
ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) da tempo è in prima linea per la tutela e la valorizzazione dei siti minerari dismessi: nel 2006 ha pubblicato uno studio di “Censimento dei siti minerari abbandonati italiani”, nel 2009 le “Linee guida per la tutela, gestione e valorizzazione di siti e parchi Geo-Minerari”, nel 2011 il Quaderno intitolato “Recupero e valorizzazione delle miniere dismesse: lo stato dell’arte in Italia” e nel 2016 il Quaderno “Giornata Nazionale delle miniere”.
Proprio ISPRA ha contribuito a istituire a partire dal 2009 la Giornata Nazionale delle Miniere, migliaia di visitatori e una media di 60 eventi minerari all’anno organizzati su tutto il territorio nazionale.
Dal 2015 invece ISPRA, Ministero per lo Sviluppo economico, Regione Lombardia e Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico e Industriale (AIPAI), Consiglio Nazionale dei Geologi (CNG) e dell’Associazione Nazionale Ingegneri Minerari (ANIM) hanno fondato una rete nazionale dei parchi e musei minerari italiani che conta oggi 67 siti in 13 diverse regioni.
La mappa dei siti minerari, come detto in precedenza, tocca 13 regioni: la maggioranza dei siti sono in Sardegna (17), seguita dalla Lombardia (9), dalla Toscana (6) e dalla Valle D’Aosta (3).
A livello di gestione questi siti sono per il 57% in mano a privati, il 22% circa da associazioni e per il 20% da enti pubblici.
Dal Parco nazionale museo delle miniere dell’Amiata sulle colline metallifere grossetane, al Parco geominerario storico e ambientale della Sardegna, passando per quello delle miniere di zolfo delle Marche e dell’Emilia Romagna, l’obiettivo è promuovere conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio minerario dismesso ma anche proporre soluzioni di riconversione allo scopo di mettere in sicurezza e bonificare queste aree in modo di restituirle alla cittadinanza.
Oltre ai siti minerari situazione simile riguarda le cave dismesse e abbandonate. Anche in questo caso la priorità è la riconversione, la salvaguardia e la messa in sicurezza dei siti che vanno appunto riconvertiti per creare nuove opportunità sia ambientali sia sociali.
Oltre il 15% dei Comuni italiani ha sul proprio territorio almeno una cava abbandonata e su molte di queste sono immaginati progetti di recupero e rinaturalizzazione. Dopo aver “servito” settori economici come quello edilizio, questi siti possono avere una nuova vita.
Dopo anni di inquinamento ambientale insomma, riconvertire queste aree e restituirle al paesaggio e al territorio può essere un sentimento condiviso.
Quello delle miniere e delle cave non è solo un problema di sicurezza ambientale ma piuttosto di recupero e valorizzazione di interi territori e del sapere operaio in esse contenuto. È un’opportunità per questi luoghi ma anche una exit strategy per le comunità che li abitano.